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Φιλία 2020. La legge non scritta

SCENOGRAFIA: IL TESTO ICONOGRAFICO

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SCENOGRAFIA: IL TESTO ICONOGRAFICO

 

 La scenografia è stata affidata alla proiezione di immagini di opere d’arte che spaziano in tutto l’arco della Storia dell’Arte, dall’antichità ai nostri giorni, scelte con i ragazzi del Laboratorio di Storia dell’Arte. Le immagini hanno svolto diverse funzioni semantiche:

  • L’ambientazione dell’azione scenica ha sostituito, mediante proiezione fotografica i tradizionali apparati scenografici.
  • L’elemento denotativo dei protagonisti ha identificato i personaggi principali con un’immagine e una musica ricorrenti.
  • Funzione evocativa, a metà fra la funzione sinestetica e l’allestimento scenico, ha evocato sensazioni in sintonia con le musiche di scena, le battute e l’azione degli attori.
  • Gli effetti sinestetici hanno creato correlazioni sensoriali fra la vista e l’udito.

 

 

AMBIENTAZIONE DELL’AZIONE SCENICA

 

PROLOGO
Il teatro Greco di Taormina viene proiettato mentre Eschilo, che in Φιλία rappresenta il simbolo della tragedia, recita il Prologo. In Φιλία  sono stati utilizzati diversi frammenti dei testi greci, contaminandoli e intrecciandoli con testi contemporanei perché il mondo antico, nella sua integrità, è scomparso ma vive nella reinterpretazione che la contemporaneità riesce a dargli. Per questo abbiamo scelto di proiettare la fotografia del teatro greco di Taormina al tramonto, perché il mondo antico è inesorabilmente tramontato, ed è frammentario, corroso dall’ineluttabile trascorrere dei secoli, così come frammentari o lacunosi sono molti dei testi giunti fino a  noi.

Taormina, Teatro Greco

Il teatro greco di Taormina risale probabilmente al III secolo a. C. anche se sono visibili interventi di epoca romana. È il teatro antico più grande di Sicilia, dopo quello di Siracusa.

 

ETTORE E ANDROMACA
La scena, densa di disperazione e morte, si svolge, per contrasto, in un luogo ameno, ridente e confortevole.  L’opera, infatti rappresenta un porticato in cui crescono rigogliose piante multicolori, mentre sullo sfondo, fra i fusti delle colonne, si vede un tempio greco. L’ambientazione accogliente e serena stride volutamente con la scena altamente drammatica e con il suo crudele epilogo tragico che infrange la serenità del luogo e il lieto idillio familiare.

Louis Comfort Tiffany, Paesaggio con tempio greco, 1900 ca.

Louis Comfort Tiffany è stato un artista e designer statunitense. È famoso per le sue creazioni Art Nouveau in mosaico di vetro legato a stagno, detto vetro Tiffany. Fu anche pittore e creatore di gioielli ed elementi di arredo.

 

PARODO: DANZA DOPO IL SACRIFICIO DI IFIGENIA
Il coro e le danzatrici rappresentano la contrapposizione fra le spietate leggi patriarcali, basate sulla logica dell’onore e del potere, e quelle matriarcali basate sulla φιλία. L’immagine proiettata durante l’esibizione del coro e delle danzatrici evoca l’ingresso in un luogo misterioso, labirintico, ignoto, simbolo della mente inquieta e perturbata dal delitto.

Jackson Pollock , Jump in, 1949

Allestimento alla mostra Pollock e la Scuola di New York, Complesso del Vittoriano, 2019

Jackson Pollock è uno dei maggiori rappresentanti dell’Espressionismo Astratto o Action Painting.

Pollock era stato introdotto all’uso del colore puro nel 1936, durante un seminario sperimentale tenuto a New York dall’artista messicano specializzato in murales David Alfaro Siqueiros. Inizialmente dipingeva versando direttamente  il colore sulla tela, in seguito adagiava le tele in terra e, con la tecnica del dripping , lanciava su di esse il colore con gesti assecondati da tutto il corpo in un movimento simile a una danza ipnotica. “Sul pavimento sono più a mio agio. Mi sento più vicino, più parte del dipinto, perché in questo modo posso camminarci attorno, lavorare dai quattro lati ed essere letteralmente nel dipinto. È un metodo simile a quello dei pittori di sabbia indiani del west.” Pollock cercava di controllare il caso, creando delle opere che fossero il frutto della sapiente combinazione dei movimenti del suo corpo, della densità del colore, dell’ampiezza del gesto, dell’azione della forza di gravità, della ruvidezza della tela.  Gli studi di Taylor, Micolich e Jonas hanno analizzato la tecnica di Pollock, scoprendo che alcune opere presentano le stesse caratteristiche dei frattali e che Pollock, nel suo tentativo di controllare il caso, aveva intuito, più di dieci anni prima che la Teoria del Caos fosse formulata, che l’apparente caos della natura in realtà nasconde delle regole.

L’immagine utilizzata in questa scena è la fotografia dell’allestimento realizzato alla mostra tenutasi al Complesso del Vittoriano nel 2019 dove il famoso dipinto Jump in era proiettato sulle pareti del percorso della mostra, creando effetti di grande suggestione, densi di inquietudine e stordimento.

 

ANTIGONE E CREONTE
Atena è ormai sconfitta e confusa, Zeus, ancora in cerca di risposte, suscita dagli abissi del mito Antigone e Creonte che rivivono sulla scena la tragedia che li ha visti contrapposti.

Antigone non accetta la spietata legge di Creonte e, gridando “Ʃυμφιλεῖν ἔφυν, esisto per amare”, sprofonda nell’Ade che noi abbiamo rappresentato con un celebre dipinto di un anonimo epigono di Hieronymus Bosch.

Anonimo, Seguace di Hieronymus Bosch, Discesa di Cristo agli inferi,1550-1560, Metropolitan Museum of Art, New York.

L’Anonimo di quest’opera , seguace di Hieronymus Bosch, come lui rappresenta scene oniriche e tenebrose. Rispetto a Bosch l’Anonimo ha una vena molto più tragica e inquietante. Le sue opere che, come quelle di Bosch, sembrano anticipare il Surrealismo, in realtà sono un insieme di leggende locali e di contenuti cristiani intessuti di superstizioni e di parabole fantasiose che ben rappresentano l’immaginario nordico, profondamente moralistico e travagliato. Le sue opere sono caratterizzate da una esasperata visionarietà che esprime le passioni represse di una società austera e angosciata. Gli esseri umani vengono rappresentati come mostri abominevoli che si crogiolano nella lussuria e nella gozzoviglia. Bosch era un pittore estremamente raffinato sia nei contenuti che nella sua straordinaria tecnica che rasenta la miniatura. Molti furono i suoi seguaci, per lo più anonimi, che hanno proseguito le sue tematiche con un approccio manierato e sensazionalistico, solitamente privo di quella sottile vena ironica che permea sempre le opere del grande maestro olandese.

 

 

IMMAGINI DENOTATIVE DEL PERSONAGGIO

 

ZEUS
Lo Zeus di Φιλία è un dio senza adepti, perso in una immortalità simile all’oblio, ha subito la perdita di Senso, lui, un dio, senza un τέλος, un fine, non trova più un significato alla sua esistenza. Ridotto a un barbone nomade, si aggira fra gli umani spaesato, come in preda ad un incubo, cercando di capire il mondo e il significato dell’esistenza. Per esprimere tutto questo abbiamo utilizzato diversi dipinti a carattere denotativo del personaggio così da accompagnare le vicissitudini e i cambiamenti che Zeus subisce nel corso del dramma.

Il primo dipinto è uno dei più famosi di De Chirico.

Giorgio De Chirico, Piazza d’Italia, 1953, Coll. Privata.

L’opera denota lo Zeus iniziale di Φιλία per l’atmosfera rarefatta, la sensazione di attesa, di sospensione e di enigmatica solitudine che avvolge la scena, immergendola in una lucida assurdità carica di mistero.

Giorgio De Chirico è uno dei fondatori del movimento della Metafisica nato nel 1917. Oggetti decontestualizzati, atmosfere enigmatiche, manichini, personaggi ambigui erano la manifestazione pittorica dell’affiorare dei misteri dell’inconscio e dello scavo interiore. In polemica con il Cubismo e il Futurismo, De Chirico perseguiva la classicità, sostenendo che l’arte deve parlare dell’interiorità dell’essere umano. Jean Cocteau dirà: “De Chirico, pittore accurato, prende in prestito dal sogno l’esattezza dell’inesattezza, l’uso del vero per promuovere il falso”.

De Chirico realizza un gran numero di autoritratti in cui si rappresenta con una grande ironia irriverente. Fautore di un “ritorno all’ordine”, che già serpeggiava negli anni Venti del Novecento, stufo di sperimentalismi che svilivano il “mestiere”, De Chirico mostrerà la sua strabiliante abilità tecnica e, consapevole di questo suo prodigioso virtuosismo firmerà  un suo autoritratto: Giorgio De Chirico, Pictor Optimus.

Il dipinto che abbiano scelto per la scenografia rappresenta una piazza immaginaria, simbolo stesso della città. Presenta un monumento al centro che ricorda l’Arianna addormentata del III sec. a. C., porticati che rimandano alla Ferrara in cui a lungo ha vissuto l’artista, sullo sfondo un treno che scorre lento accanto ad un enorme edificio a metà fra una tholos e un silos, poco distanti due personaggi si guardano immoti. Le dense ombre allungate e i colori caldi, alludono al tramonto.

Il secondo dipinto scelto per denotare il cambiamento interiore di Zeus è un’opera di un artista poco conosciuto,  Arturo Nathan. L’opera, “Nave nella tempesta con statua naufragata”, ben si presta a rappresentare il naufragio del mondo olimpico e la tempesta esistenziale di uomini e dei, ormai privi di orientamento, come mostra il timone in primo piano, vicino alla scialuppa arenata in secca e la statua spezzata. In secondo piano si vede la nave finita contro gli scogli e in lontananza resti archeologici in rovina.

Arturo Nathan, Nave nella tempesta con statua naufragata, 1930, Museo Revoltella, Trieste.

Dopo il tragico epilogo dello scontro fra Creonte e Antigone, Zeus vacilla, sempre più disorientato, colpito dalla grandezza della fanciulla: “οὔτοι συνέχθειν, ἀλλὰ συμφιλεῖν ἔφυν. Non vivo per provare odio ma per la φιλία”. Zeus  vede se stesso e il mondo olimpico naufragare, perché il messaggio di Antigone è l’unica formula sufficiente e necessaria per divenire umani, diventare persone: Ʃυμφιλεῖν ἔφυν, essere nati per la φιλία, “esistere per amare!” dirà in scena Antigone prima di essere trascinata via dall’odio senza volto.

Sempre dello stesso autore è l’immagine con cui si conclude la parabola di Zeus e Φιλία.

L’opera “Il ghiaccio del mare” rappresenta un uomo vestito con abiti moderni, seduto fra le rovine di un tempio greco, mentre guarda il mare dove si vede una nave allontanarsi all’orizzonte.

Zeus, barbone apolide, divinità inutile e dissacrata, siede, di spalle al pubblico, sulle rovine delle antiche vestigia del mondo olimpico e guarda verso il mare. Zeus ha compreso che la vera grandezza non risiede nella potenza e nell’immortalità degli dei ma nella fragilità dell’essere umano, nella sua insanabile contraddittorietà, nell’imprevedibile e straordinaria capacità di distruzione e salvezza che lo rende capace di orrori e di grandi azioni salvifiche, e rende ogni essere umano, sacro, perché capace di “indiarsi”.

Arturo Nathan, Il ghiaccio del mare, 1932, Museo Revoltella, Trieste.

Nato a Trieste il 17 dicembre 1891 Arturo Nathan, si forma nel clima romano degli anni ’20, in contatto con il substrato mitteleuropeo della pittura di Giorgio De Chirico e Alfredo Savini. L’elemento metafisico sarà il più interessante della sua produzione purtroppo breve. A causa della sua origine ebraica fu inviato al confino prima a Offida (AP), poi a Falerone (AP) dove fu arrestato e internato nel settembre 1943 nel campo di prigionia di Carpi. L’anno seguente fu deportato in Germania, prima nel campo di concentramento di Bergen-Belsen poi in quello di Biberach an der Riss, dove morì il 25 novembre 1944.

Zeus nell’epilogo si interroga su quanto accaduto, è stanco e confuso, non sa più se la sofferenza è lo strumento per la conoscenza o viceversa il conoscere sia la fonte della sofferenza: “Πάθει μάθοσ. Ho molto imparato e molto sofferto. O era il contrario? Non mi ricordo ormai” dice sdraiandosi in terra, risucchiato dal firmamento, dal cosmico vortice del Mito ormai dissolto nel Nulla.

Come immagine denotativa, e contemporaneamente di ambientazione scenica, abbiamo scelto l’istallazione di un’artista contemporanea esposta proprio nei giorni in cui stavamo allestendo Φιλία.

Penelope (Chiara Cocchi), Star Gate, in: Introspective Window, a cura di Valentina Luzi, Galleria Emmeotto, Palazzo Taverna, Roma, 25 Febbraio – 31  Maggio 2019

Lo Star Gate di Penelope, nome d’arte di Chiara Cocchi, è realizzata con vetri, specchi e led. L’artista ha preso le mosse da una mappa stellare frutto di un’accurata ricerca tecnico-estetica

 

ERINNI
Le Erinni di Φιλία, sono atipiche, infatti non perseguono la vendetta contro il matricida Oreste, ma si scagliano contro le nuove leggi istituite dai nuovi dei, come Apollo e Atena, che disprezzano le leggi ancestrali della φιλία. Pur avendo dei tratti che le rimanda in parte alle Eumenidi mantengono il loro antico aspetto orrido e viscerale reso con una recitazione gridata, costellata  da urla belluine. Per denotarle abbiamo scelto un’opera di Francis Bacon. Le figure del Trittico sono deformate, irriconoscibili e mostruose perché materializzazione dell’urlo, entità frammentarie, distorte, sfigurate dal dolore esistenziale, lancinante e disperato. Ispirandosi alle Erinni, l’artista mescola il dramma greco alla tradizione pittorica cristiana medievale.

Francis Bacon, Trittico, 1944, Tate Britain, Londra.

Francis Bacon è considerato uno degli artisti più rilevanti del ‘900. Figlio di un ex ufficiale dell’esercito e di una facoltosa ereditiera, discende dall’omonimo filosofo del Seicento Francesco Bacone. Nel 1944, dipinge una Crocefissione pensata come un polittico, alla base del quale avrebbe dovuto esserci una predella con tre figure urlanti: le Erinni del Trittico.

 

APOLLO
Il coro chiama in scena Apollo con l’epiteto “λοχός, l’obliquo” perché il dio emetteva i suoi responsi attraverso la Pizia con linguaggio oscuro e ambiguo. Bello e imperturbabile, il dio del sole, della profezia, della musica e della scienza medica, è  identificato con una delle splendide immagini di Mimmo Jodice che, nella sua campagna fotografica sull’arte e l’architettura della Magna Grecia, oltrepassa la semplice documentazione e approda ad una interpretazione delle sculture che le rende vitali e palpitanti come fossero personaggi reali.

Mimmo Jodice, Anamnesi, 1982-2008.

 

ATENA
Anche Atena, algida e perfetta nella sua logica razionale, viene denotata da una foto di Mimmo Jodice che la ritrae come una guerriera impassibile e sfolgorante nella sua bellezza.

Mimmo Jodice, Anamnesi, 1982-2008.

Lo stringente dialogo che Atena intesse con il padre Zeus la fa dubitare delle sue certezze: “O padre Zeus come sei raffinato nel fare sofismi….”afferma sconcertata perché  Zeus giunge a dimostrare che le leggi della πόλις possono essere piegate e manipolate dai potenti che non cercano il Bene Comune ma i propri interessi. Zeus allora decide di evocare Antigone e Creonte come ultimi testimoni dell’indagine intrapresa. Ʃυμφιλεῖν ἔφυν afferma Antigone: sono nata per la φιλία. Ma questo è incomprensibile per Atena che non può concepire la dimensione della φιλία: lei è nata dalla testa del padre, parto del solo λόγοϛ. Quando comprende che la razionalità può essere utilizzata in modo demagogico e strumentale e che solo la  φιλία può dare Senso e orientamento all’esistere, impotente e sconfitta la splendida, algida Atena diventa una statua che si sgretola.

Il bellissimo volto della statua fotografata da Mimmo Jodice è danneggiato da una lacuna a forma di cuore che ben simboleggia la nostra Atena sgretolata dalla φιλία.

Mimmo Jodice, Anamnesi, 1982-2008.

Mimmo Jodice è uno dei maggiori fotografi italiani. Vive a Napoli dove è nato nel 1934. Nel 1980 ha pubblicato Vedute di Napoli, una raccolta fotografica che segna una svolta nel suo linguaggio contribuendo a fornire una nuova visione del paesaggio urbano e dell’architettura. Nel 1981 partecipa alla mostra Expression of human condition, al San Francisco Museum of Art con Diana Arbus e altri famosi esponenti della fotografia mondiale. Nel 1985 inizia una lunga ed approfondita ricerca sul mito nel Mediterraneo. Il risultato è un libro dal titolo: “Mediterraneo”, pubblicato da Aperture, New York, cui sono seguite mostre in varie parti del mondo. Nel 2003 il suo nome è stato inserito nell’Enciclopedia Treccani. Nel 2006 l’Università degli Studi Federico II di Napoli gli ha conferito la Laurea Honoris Causa in Architettura.

 

ELENA
Elena è la Splendente, emblema archetipico dell’eterno femminino per la sua bellezza e la sua grazia irresistibile. Per lei abbiamo scelto una magnifica vetrata Liberty della Casina delle Civette di Villa Torlonia a Roma. I pavoni raffigurati rappresentano il fulgido splendore della bellezza incantatrice.

Umberto Bottazzi, I pavoni, 1912, vetraio Cesare Picchiarini, Casina delle civette, Villa Torlonia, Roma.

La lunetta disegnata da Umberto Bottazzi ed eseguita dal vetraio Cesare Picchiarini, fu esposta alla Mostra della Vetrata Artistica del 1912 a Roma. Le paste vitree, le gemme e i vetri cabochons rendono sfolgorante l’opera che rappresenta due gruppi di tre pavoni separati da un grande vaso da cui si sviluppano racemi a spirale.

 

 

FUNZIONE EVOCATIVA

 

AGAMENNONE E IL SACRIFICIO DI IFIGENIA
Il racconto che fa  Zeus delle navi achee in secca viene sottolineato da immagini di onde, flutti e naufragi. “…l’esercito Acheo non poteva muoversi, era oppresso da una sosta forzata affamatrice, accampato sulla terra che fronteggia Calcide, sulle rive dell’Aulide. Esse rimbombavano di opposte correnti e i venti che venivano dallo Strimone, causa di cattivo indugio, di fame, di sosta forzata e sbandamento d’uomini, senza risparmiare navi e gomene

Gustave Courbet, L’onda, 1870, Musée d’Orsay, Parigi.

Gustave Courbet fu il fondatore del realismo, era una grande ammiratore di Victor Hugo e George Sand. Le sue opere corrosive e anticlassiche gli fruttarono aspre critiche come per il “Funerale a Ornans” che verrà definito: “Il funerale del Romanticismo”. Durante l’estate del 1869, Courbet si stabilisce a Etretat, cittadina normanna dove si recheranno i maggiori pittori dell’epoca. Qui Courbet realizza una visione intensa del mare in burrasca, traducendo sulla tela la potenza delle forze naturali. “La sua marea viene dal profondo dei tempi” dirà Paul Cézanne.

Ivan Konstantinovič Ajvazovskij, La nona onda, 1850, Museo di Stato russoSan Pietroburgo.

Ivan Konstantinovič Ajvazovskij  è stato un pittore romantico, di nazionalità russa, ma di etnia armena, ebbe un grande successo di pubblico in tutto il mondo. Il genocidio armeno lo scosse profondamente e per denunciare all’opinione pubblica i massacri perpetrati dai turchi dipinse molte opere come: Massacro degli armeni di Trebisonda nel 1895Armeni gettati vivi nel mar di MarmaraArmeni bruciati vivi dentro una nave. Inoltre distrusse tutte le numerose onorificenze conferitegli dalla Turchia. Le sue opere sono emblematiche della poetica del Sublime e delle tematiche romantiche. “La nona onda” è il suo dipinto più conosciuto che si ispira ad una leggenda marinaresca secondo la quale le onde si ripetono a gruppi di nove, gonfiandosi progressivamente fino alla nona: grande, imponente, implacabile, contro la quale l’uomo è completamente impotente.

Joseph Mallord William Turner, Il naufragio del Minotauro, Museu Fundacao Calouste Gulbenkian, Lisbona.

Joseph Mallord William  Turner è stato un pittore e incisore inglese appartenente al movimento romantico. Il suo stile pose le basi per la nascita dell’Impressionismo. Famoso per le sue opere a olio, Turner fu anche un grande maestro nella tecnica dell’acquerello. Veniva chiamato: “il pittore della luce”. Il mare in burrasca, da lui spesso rappresentato, esprime perfettamente la potenza terrificante della natura, in pieno accordo con la poetica del Sublime.

Mentre Zeus parla si preparano Agamennone e il sacerdote, pronti  a: “Sacrificare la figlia del re, la primogenita, la vergine inviolata Ifigenia”. Quando Agamennone avanza verso la platea lo sfondo si trasforma in un corrusco, rosso tramonto che sembra grondare sangue.

Emil Nolde, Landscape in red light, 1925, Nolde Museum, Neukirchen, Germania.

Emil Nolde è un pittore danese, la sua opera presenta sempre una forte accentazione drammatica. Artista espressionista dipinge in modo che lo spazio, la forma e il colore perdano ogni funzione descrittiva per assumere un valore espressivo autonomo.

Agamennone è dibattuto fra l’amore per la figlia e l’incalzante necessità di obbedire ai cruenti riti propiziatori: “Pesante sciagura il non obbedire, ma pesante anche se dovrò sgozzare mia figlia, la gioia della mia casa, macchiando queste mani paterne con un fiotto di sangue della vergine sgozzata all’altare: quale di queste decisioni è priva di mali? Come potrei abbandonare le navi rompendo l’alleanza?”

Il climax ascendente viene sottolineato da due opere di Alberto Burri che rafforzano la violenza rappresentata nell’azione scenica, evocando le candide vesti virginali di Ifigenia lordate dal suo stesso sangue.

“ ϕίλος παθήρ! Padre amatissimo!” grida la fanciulla invano mentre Agamennone ordina alle guardie che venga imbavagliata e legata. Nel momento in cui il sacerdote la sgozza sulla scena appare il “Rosso plastica” di Burri che sembra l’oscura ferita inferta alle carni sanguinolenti della giovinetta.

Alberto Burri, Rosso plastica, 1964, Fondazione Palazzo Albizzini, Città di Castello.

Alberto Burri, ufficiale medico durante la seconda guerra mondiale, viene deportato nel campo di Hareford  in Texas. Qui matura la decisione di dedicarsi esclusivamente all’arte. Recupera materiali dal magazzino e dalla discarica del campo. La materia umile, profanata dal tempo e dalle intemperie, viene manipolata per essere sublimata così da tornare a nuova vita grazie all’arte.

Il sacco di juta per il trasporto dei medicinali viene ricucito pazientemente dall’artista che ripete sulla stoffa le operazioni eseguite sulle povere carni martoriate dei soldati. Burri taglia, cuce, rammenda, in un processo catartico che lo libera dall’angoscia delle tremende esperienze vissute. Esponente singolare e di straordinario rilievo dell’Espressionismo astratto, rappresenta il tormento della materia che raggiunge la sublimazione artistica. Stracci miserabili, camice sventrate, cuciture, rammendi, esprimono la desolata esistenzialità della materia che riconduce al retroterra traumatico e insensato della guerra. Nelle sue opere troviamo crateri tenebrosi, prodotti dalla combustione della plastica, addensata in colature materiche che si raggrumano come sangue rappreso intorno a nere voragini, ferite sanguinose dell’anima, purificate dal fuoco.

Zeus prosegue nelle sue riflessioni sull’immortalità e sull’impossibilità di discernere il bene dal male anche per un dio come lui. Scopre così che ha vissuto attraverso i millenni senza riuscire a cogliere  l’essenza degli esseri umani che sfuggono alla sua comprensione.

Avanzando verso la platea Zeus dice: “Io, attraverso le pieghe del tempo…” e mentre pronuncia questa frase compare la tela rossa squarciata di Lucio Fontana. Il dipinto evoca quello che sta dicendo Zeus perché rappresenta lo spazio oltre la superficie, le pieghe del tempo che aprono la tela ad altre dimensioni dello spazio-tempo universale.

Lucio Fontana, Concetto spaziale. Attese, 1963, Collezione privata.

Lucio Fontana nell’aprile del 1947 a Milano, fonda il Movimento Spaziale e, con altri artisti e intellettuali, pubblica il “Primo Manifesto dello Spazialismo”. Su uno sfondo monocromo, egli incide la tela con un uno o più tagli, annullando la sua funzione di supporto e trasformandola in una opera tridimensionale. Numerosi furono i falsari, ma pochi con un segno altrettanto sicuro.

Fontana, per cautelarsi, scrisse sul retro di ogni tela frasi insensate come semplice appiglio per una perizia calligrafica.

 

DANZA
Il Parodo introduce alla drammatica scena in cui Clitemnestra, posseduta dal demone della vendetta, l’antico tremendo ἀλάστωρ, dopo aver ucciso il marito Agamennone, piange la figlia Ifigenia e poi viene a sua volta uccisa dal figlio Oreste istigato dalla sorella Elettra. Il Parodo è preceduto da un momento di danza e dalla canzone di Dargen D’Amico, “Le squadre”, che sottolinea la contrapposizione fra il mondo patriarcale (la patria) e quello matriarcale (la madria).

Sulla scena abbiamo proiettato un’immagine dell’artista cinese Cai Guo-Qiang che, con i fuochi d’artificio e la polvere da sparo, ricrea, a volte, opere d’arte famose. Nella sua mostra al Prado del 2018 ha realizzato la parte centrale del famoso dipinto di Goya, Il fucilamento del 3 maggio in cui l’artista spagnolo aveva denunciato la spietata repressione del popolo ad opera dell’esercito francese invasore. L’opera di Cai sottolinea la violenza della musica e delle parole di Dargen D’Amico, scandite con accenti militareschi incalzanti,  non solo nella rievocazione della crudele tela di Goya ma anche attraverso la tecnica per realizzarla. La brutalità della deflagrazione della polvere da sparo, da lui sapientemente controllata, si trasforma in pittura.

Cai Guo-Qiang, 2018, al Museo del Prado, Madrid.

Cai Guo-Qiang è soprattutto conosciuto per le spettacolari performance con i fuochi d’artificio realizzate sia in occasione delle Olimpiadi di Pechino che in vari eventi in giro per il mondo. L’artista cinese, però utilizza la polvere da sparo anche per creare allestimenti e composizioni pittoriche di grande impatto, come nelle sue mostre personali nel 2018 al Museo del Prado di Madrid e alle Gallerie degli Uffizi a Firenze e poi nella memorabile performance “Explosion studio”, un’esplosione artistica eseguita nella mostra “IN THE VOLCANO. Cai Guo-Qiang and Pompeii” allestita dal museo Archeologico nazionale di Napoli nel 2019.

Cai Guo-Qiang sulla genesi della sua ricerca artistica racconta:

Negli Anni Settanta, durante la rivoluzione culturale in Cina, lo studio della storia dell’arte non includeva arte moderna e contemporanea, ma si trovavano libri di testo sull’arte occidentale, e così ho iniziato a studiare i grandi maestri come El Greco, e sono stato colpito e ispirato dal senso di libertà che pervade le sue opere. A quei tempi, per una persona giovane, che si trovava ad avere dei dubbi sulla sua cultura o voleva ribellarsi contro il sistema, o cercare ispirazione e nuove possibilità, la cultura e l’estetica Occidentale, questi busti con i capelli ricci, barbe folte e nasi prorompenti, sembravano la cristallizzazione dell’esistenza di una realtà diversa, di un altro mondo, più libero, e io passavo le ore a osservarli fantasticando su questo mondo. Dalla prospettiva di una persona occidentale, lo studio dello stile classico significa interesse e passione per quello stile in particolare, mentre per una persona cinese, a quei tempi, significava cercare ispirazione in una cultura e in un mondo differenti. Era quasi un atto di ribellione. Nella mia ricerca, all’inizio, ho utilizzato il fuoco, nei miei primi lavori ho dato fuoco ai miei quadri a olio o ho usato un asciugacapelli per muovere l’olio sulla tela, in un tentativo di utilizzare l’energia proveniente da agenti naturali come il fuoco e il vento. Questa ricerca era volta a trovare un’arte che fosse difficile da controllare. Vivevo in una società fortemente controllata e ho una natura introversa che ho ereditato da mio padre, e per questo motivo sono alla ricerca di un elemento liberatorio nella mia arte, per liberare la mia individualità. È stata una ricerca molto lunga, all’inizio ho guardato all’Occidente sperimentando tecniche pittoriche come il puntinismo e l’arte astratta, cercando di usare quegli stili per esprimere il mio rapporto con la società, ma sono arrivato alla conclusione che l’avanguardia occidentale aveva senso nel suo contesto specifico, e che avrei dovuto trovare qualcosa che avesse senso per me, nel mio contesto. Quello che mi affascina nella polvere da sparo è la sua natura allo stesso tempo creatrice e distruttiva. Per me quello che è centrale e fondamentale nella mia pratica è il momento dell’esplosione. Molti pensano che il mio obbiettivo siano i fuochi d’artificio, invece quello che mi interessa e mi affascina è l’esplosione in sé. Uno dei concetti più importanti nella mia arte è l’utilizzo del visibile per rappresentare il mondo dell’invisibile, e il momento transitorio della performance nello spazio pubblico, il momento dell’esplosione dei fuochi d’artificio unisce spazio e tempo. Nel momento dell’esplosione il tempo viene distorto, e l’energia che ne scaturisce dà la sensazione di essere uniti all’energia interna dell’universo. E allo stesso modo nella pittura si cerca di rappresentare qualcosa di invisibile in maniera visibile. Non posso dire che dipingere mi tiene occupato, perché non mi sento occupato. In ideogrammi cinesi la parola occupato è formata da due ideogrammi, quello a sinistra significa “cuore” e quello a destra “morte”, quindi morte del cuore, e per questo quando dipingo non sono occupato, anzi mi sento estremamente tranquillo e contento.

 

CLITEMNESTRA, ELETTRA E ORESTE
L’entrata di Clitemnestra è sottolineata dalla proiezione di uno dei “Sacchi” di Burri che evoca la tunica di Agamennone squarciata dalla coltellata.

La scena, molto intensa, vede Clitemnestra che, in preda al delirio della vendetta grida allucinata: “E non crediate, voi, che io sia la moglie di Agamennone: avendo preso l’aspetto della donna di questo morto. L’antico tremendo ἀλάστωρ demone vendicatore della casa di Atreo, punì costui!

Alberto Burri, Sacco 5P, 1953, Fondazione palazzo Albizzini, Città di Castello.

Entrano in scena Oreste e la sorella Elettra che, sconvolti alla vista di Clitemnestra, lanciano un grido lancinante a cui fa eco uno degli sconvolgenti ritratti urlanti di Francis Bacon.

Madre! Che hai fatto?” gridano all’unisono e il coro scandisce con toni inquietanti: “Madre!

Francis Bacon, Study for a portrait (Man Screaming), 1952, Coll. Privata Cleveland.

Sulla scena si scatena una danza sfrenata, rappresentazione della follia omicida dei personaggi. Mentre le danzatrice compiono le loro evoluzioni, il ritmo dei loro movimenti è accompagnato dalla proiezione intermittente e tendenzialmente psichedelica di due famosi dipinti rappresentanti una “Danza macabra”.

Anonimo, Danza macabra, 1485, Oratorio dei Disciplini, Clusone.

 

Anonimo, Danza macabra, primi del ‘600, Palazzo del Governo, Lucerna.

La Morte viene raffigurata come una grande regina che sottomette tutti a sé; è rappresentata come uno scheletro trionfante avvolta in un mantello e con una corona sul capo. Essa sventola dei cartigli dove è scritto:

Gionto (e sonto) per nome chiamata morte/ferisco a chi tocherà la sorte;/ no è homo chosì forte/che da mi no po’ a schanmoare

Gionto la morte piena de equaleza/sole voi ve volio e non vostra richeza/ e digna sonto da portar corona/perché signorezi ognia persona.

Il cartiglio trattenuto dalla morte, prosegue con altre due scritte:

Ognia omo more e questo mondo lassa/chi ofende a Dio amaramente pasa 1485

Chi è fundato in la iustitia e (bene)/ e lo alto Dio non discha(ro tiene)/la morte a lui non ne vi(en con dolore)/ poy che in vita (lo mena assai meliore)

Le danze macabre costituiscono un genere di rappresentazione originaria della Germania, sorto verso la metà del sec. XIV. Se ne hanno molteplici esempi in tutta Italia.

 

 

FUNZIONE SINESTETICA

 

ELENA
Elena avanza regale, recitando in greco i versi di Saffo. Mentre pronuncia la frase:” ma io dico che la cosa più bella è la persona che si ama”, sulla scena viene proiettata la foto di una statua. Come un flash appare e poi scompare, ma quando Elena, continuando a recitare i versi di Saffo dice: “Come vorrei vedere l’amabile passo e il candido bagliore del suo volto” di nuovo, come un lampo, compare l’immagine del bel giovane, come se gli spettatori potessero vedere ciò che Elena vede nella sua mente.

Mimmo Jodice, Anamnesi, 1982-2008.

 

ANTIGONE E CREONTE
Antigone viene portata via da inquietanti guardie dal volto celato dietro maschere inespressive. Non hanno volto perché non sono più persone, ma ciechi strumenti del potere. Il coro ripete il disperato grido della fanciulla: “συμφιλεῖν ἔφυν, esisto per amare !”. Inizia una danza onirica e allucinata che si svolge davanti a uno dei dipinti più famosi di Pollock che abbiamo già utilizzato per la danza dopo il sacrificio di Ifigenia in allestimento tridimensionale. Qui appare il dipinto originale proiettato sullo sfondo del palcoscenico dove le danzatrici si muovono al ritmo della musica e delle luci livide, psichedeliche, stroboscopiche. Il dipinto appare dinamico, il dripping sembra animarsi come fosse increspato dalla musica e dalle luci.

Jackson Pollock , Jump in, 1949, Moma, New York.

 

ZEUS
Mentre racconta della tempesta, dei flutti e dei venti che: “disseccavano, logorandolo, il fiore degli Argivi”, compare l’immagine dell’istallazione sottomarina di Jason de Caires Taylor.

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote.

Il gruppo scultoreo si trova sul fondale di Lanzarote. L’opera rappresenta dei naufraghi a bordo di un gommone affondato, alcuni sono rappresentati già morti, altri scrutano l’orizzonte come se fossero ignari di essere ormai affogati. Il gruppo scultoreo ben rappresenta il “fiore degli Argivi” disseccato e logorato dai flutti, vittime della logica del potere e della violenza.

L’opera è una citazione del celebre dipinto di Théodore Géricault “La zattera di Medusa”del 1819 che è stata una forte denuncia contro la crudele logica del potere che ha lasciato parte dell’equipaggio in balìa delle onde perché le scialuppe non erano sufficienti per tutti.

Ugualmente, i negletti rappresentati da Jason de Caires Taylor sono un grido di accusa contro l’indifferenza della “Fortezza Europa” che trasforma il Mediterraneo in una “fossa comune”. Una mafia internazionale spinge i profughi a fuggire dalle proprie terre, illudendoli, ma anche costringendoli con la violenza. Lucrando sulle “deportazioni di massa” sfrutta i superstiti con i centri di accoglienza-lager, poi attraverso il caporalato gestisce il reclutamento della manodopera, mantenendo gli immigrati in condizione di illegalità, senza documenti, senza alloggio, senza alcun tipo di sostegno, ridotti in schiavitù, vittime del potere e della cupidigia.

Sempre con le sorprendenti sculture dello stesso autore abbiamo commentato sinesteticamente  le altre frasi che Zeus pronuncia alla fine della tragedia:  “Gli uomini sono sempre in cammino”.

Le statue sembrano camminare verso la scogliera.

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote.

Vivono con ostinazione l’assurda pena di Sisifo che ridiscende…

Le statue ora sembrano camminare sul fondo dell’Oceano che simboleggia l’inconscio, l’occulto mondo ctonio che spinge l’umanità, come Sisifo, a portare pesi insensati e insostenibili, fatti di angosce, sensi di colpa, crudeltà.

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote.

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote

Zeus continua dicendo: “…E in questo movimento apparentemente circolare, insensato, essi in realtà… procedono…Perché l’assurdo del loro esistere non è nella morte…

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote.

In questo gruppo scultoreo l’artista ha rappresentato una catasta di derelitti affogati nel tentativo di raggiungere le coste dell’Europa, in fuga da catastrofi, violenze e miserie. Nel rappresentare questi poveri corpi che giacciono sui fondali Jason de Caires Taylor li ha disposti in cerchio, per simboleggiare il loro tentativo di aiutarsi e proteggersi, stringendosi gli uni agli altri in un ultimo estremo abbraccio. Quindi questo ben rappresenta l’affermazione di Zeus. Il loro movimento circolare sembra insensato, ma invece questa apparente insensatezza è un procedere, e in questo ultimo abbraccio gli uomini dimostrano che l’assurdità dell’esistere non è nella morte.

Zeus prosegue: “L’assurdo è invece proprio nella inspiegabilità e nella fatica del loro vivere senza un perché”.

Le statue di Jason de Caires Taylor ci hanno permesso di dare immagine alla frase di Zeus.

Le statue del fondale, infatti sembrano procedere senza una meta, con gli occhi chiusi, incapaci di vedere, inebetiti dal cellulare, assorbiti dalle proprie ossessioni, ognuno sbandato in direzione diversa dagli altri, tutti soli e disorientati

Jason de Caires Taylor, La zattera di Lampedusa, 2016, Museo Atlantico, Lanzarote.

Zeus infine conclude: “L’assurdo è nella loro fragilità che diventa ricchezza, nella forza che li associa e li dissocia gli uni gli altri in invisibili vincoli d’amore e di odio; nell’isolamento e nell’incontro, nell’ambiguo potere che hanno di distruggersi a vicenda ma a vicenda salvarsi. E dunque è la loro comunione l’assurdo che li rende davvero incomprensibili e perciò sacri e divini: φιλία lα, la legge non scritta.”

L’immagine rappresenta statue di bambini che, tenendosi per mano in cerchio, si oppongono alla forza delle correnti oceaniche trasformando così la loro fragilità in una forza capace di resistere alla violenza dei flutti.

Jason de Caires Taylor, Le vicissitudini, 2007, Molinere Underwater Sculpture park, Grenada, mar dei Caraibi.

Φιλία 2020 Simone Fargahi come Zeus

Jason de Caires Taylor, nato nel 1974 a Dover, in Gran Bretagna,  ha creato il primo parco di sculture subacquee al mondo – il Molinere Underwater Sculpture Park, a Grenada, nel Mar dei Caraibi. Un altro è al largo della costa fra Cancun e Isla Mujeres, in Messico. Una sua scultura si trova al largo delle Bahamas. Quello delle Canarie è il primo museo sottomarino d’Europa. L’artista è un esperto oceanografo e subacqueo, oltre che scultore e fotografo. Il Ph neutro del cemento con cui realizza le sue opere favorisce lo sviluppo della barriera corallina, così l’arte, raccontando la tragedia dei naufraghi, morti nel tentativo di trovare la vita, diviene strumento di vita per le specie marine.

Manuela Marinelli

 

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