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“IL CANTO DI GIULIA”; LABORATORIO DI SCRITTURA LICEO CLASSICO

IL CANTO DI GIULIA

Utente RIIS00900X-psc

da Riis00900x-psc

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IL CANTO DI GIULIA

ovvero del capro espiatorio d’una società patriarcale

 

<<In questi giorni ho sentito parlare di Turetta, molte persone l’hanno additato come un mostro, ma lui mostro non è. Lui è un figlio sano della società patriarcale che è pregna della cultura dello stupro…>>. Sono le parole iniziali della lettera aperta che Elena Cecchettin indirizza ai redattori delle più rinomate testate giornalistiche. Parole forti, piene di amarezza e rimpianto per tutto ciò che per evitare un’altra catastrofe si poteva fare ma non si è fatto. È un grido che si innalza dal silenzio della paura: parole necessarie al risveglio di animi sopiti dal torpore. E vedo finalmente nelle piazze e per le vie uomini, donne, anziani e bambini unitisi e riconosciutisi in un ideale comune, in una “social catena”. Vedo gli uomini mettere da parte le loro divergenze per stringersi e combattere, invocando giustizia, pregando per un universale cambiamento umano e morale. Giulia Cecchettin è stata l’ennesima. L’ultima delle 105 donne uccise dall’inizio del 2023 da quei mostri che conoscevano come mariti e confidenti. Perché dunque il suo caso ha suscitato tanto scalpore? È un evento traumatico, indescrivibile, ma perché non è rimasto taciuto? Perché Giulia non è stata sepolta dal baratro della dimenticanza come tutte le altre prima di lei? Ve lo dirò. Probabilmente, se non ci fosse stato quel rapimento, se la sua famiglia non si fosse appigliata a quella flebile speranza di ritrovarla viva, se noi non avessimo avuto la medesima speranza, anche questa sarebbe stata solamente l’ennesima tragedia familiare. La differenza è che abbiamo seguito ogni attimo di questo circolo vizioso, ma sapevamo già da principio come sarebbe andata a finire. Un finale che dovrebbe essere un’eccezione, un disturbante finale a sorpresa, e invece avevamo capito tutto fin dall’inizio, avevamo compreso le dinamiche e scoperto l’assassino, come accade con quei filmacci noir a basso costo. Giulia Cecchettin è stato il capro espiatorio. L’estremo sacrificio che ha scoperchiato il vaso di pandora. È davvero terribile, angosciante, ritrovarsi a scrivere tutto questo. E lo è ancor di più per me, in quanto maschio. E in quanto tale, stando alle parole di Elena, vengo trascinato sul banco degli imputati. E che altro potrei fare se non giustificarmi, dicendo:” Mi vergogno, vedendo tutto questo, d’essere nato uomo, ma allo stesso tempo mi sento estremamente fortunato a non essere nato donna?” Eccoli i rimorsi, i sensi di colpa che ogni maschio assennato dovrebbe portarsi nel petto, residui d’una antica e opprimente società patriarcale. Mi viene dunque detto che una siffatta società non esiste più. Che si è finalmente giunti ad una parità. Che questi sono solamente eventi eccezionali. E potrebbe anche essere vero: potrebbe essere anche che una società androcentrica non esista più, Tuttavia nelle menti umane è ancora radicata una cultura patriarcale, difficile da sradicare. Una cultura che ci portiamo addosso da secoli e secoli come una seconda pelle. Anzi, per meglio dire, una cultura ritenuta assolutamente normale fino a meno di trent’anni fa. Ce lo dicono la storia e le statistiche. E lo dice un maschio, ormai consapevole di questo piedistallo privilegiato che la Natura m’ha assegnato senza averglielo chiesto. Un privilegio che, in realtà, è come una croce. L’Italia è quel paese in cui fino al 1962 le donne non avevano il diritto di accedere alla magistratura, che ha abolito il delitto d’onore e il matrimonio riparatore nel 1981, che ha riconosciuto lo stupro come una violenza personale e non morale nel 1996, e che ha sottoscritto una vera e propria legge contro la violenza domestica, la n.69, solamente il 19 Luglio del 2019. L’Italia è quel paese che nella classifica mondiale relativa alle disuguaglianze di genere si trovava fino a cinque giorni fa al 63esimo posto, e che adesso è calata al 79esimo. L’Italia è quel paese in cui le donne percepiscono in media uno stipendio il 15٪ inferiore rispetto a quello degli uomini. Quel paese in cui vedo perennemente mie coetanee importunate e ingiuriate solamente per una maglia corta o per dei pantaloni attillati. Quel paese in cui posso constatare ogni giorno come il no di una donna venga perennemente schiacciato dal sì di un uomo. Quel paese in cui, qualsiasi cosa accada, la colpa sarà sempre imputata alla donna, che non ha rifiutato in maniera convincente, che non ha gridato abbastanza.

<< Il femminicidio – continua Elena – non è un delitto passionale, ma un delitto di stato, perché lo Stato non ci tutela>>. Riguardo a questo punto, non affermerò nulla. Non metterò per iscritto alcuna riflessione personale. Si sfocerebbe altrimenti nel politico, e ciò insabbierebbe completamente quanto è stato detto finora. Ma, in quanto amico del vero, e instancabile studioso delle storiche dinamiche umane, mi limiterò a riferire soltanto alcuni fatti di cronaca, antica e contemporanea. Nella Francia del 1386, Margherita di Carrouges, sposa del cavaliere Jean de Carrouges, venne violentata in casa durante l’assenza dello sposo dal duca Jaques le Gris, amico intimo del cavaliere. Nonostante le vessazioni della suocera, anch’essa vittima di violenza da ragazza, che le vietava espressamente di denunciare l’accaduto per non compromettere l’onore della famiglia, la giovane rivela tutto al marito. Di lì a poco, Margherita rimase incinta del suo stupratore. Durante il processo, la gravidanza le venne imputata come evidente prova di consensualità, poiché, secondo le credenze dell’epoca, una donna sarebbe potuta rimanere incinta solamente se il rapporto fosse stato desiderato. Sarebbe stata arsa sul rogo poche settimane dopo. Nel 1611, in Italia, la pittrice Artemisia Gentileschi fu violentata dal collega e pittore Agostino Tassi. Dopo mesi di procedimenti giudiziari, Tassi vinse la causa. Artemisia, secondo le parole di lui, l’avrebbe prima tentato spudoratamente per poi tirarsi indietro. Agostino si sarebbe dunque appropriato legittimamente di ciò che gli era stato promesso. Nel 2012, Antonia Bianco denunciò ripetutamente alla questura di Venezia i comportamenti violenti del compagno senza mai ricevere risposta. Dopo l’ennesima insistenza, la questura le disse che non poteva intervenire. Era necessario che le violenze fossero palesi per accelerare la procedura giudiziaria. Il mese successivo, una spilla da balia le venne conficcata nel cuore, ponendo fine ai suoi dolori. Nel luglio del 2019, a Torino, una giovane ragazza venne violentata nel bagno di una discoteca da un amico, a cui aveva chiesto il piacere di reggerle la porta. Secondo il giudice, e riporto le parole della corte, <<la porta socchiusa era un chiaro invito a osare>>.

Il 22 Novembre 2023, a palazzo Madama, si discute di una nuova proposta di legge contro la violenza sulle donne. L’aula è semivuota, se non fosse per numerosi studenti di Colle Val D’Elsa che si erano recati in Senato per assistere al dibattimento. Non ho fatto alcuna dichiarazione. Ho solo riferito i fatti. E la storia non mente. Come si potrebbe dunque sradicare il parassita del maschilismo dalla nostra società? <<Bisogna prevedere un’educazione sessuale e affettiva>> ci dice ancora la nostra Elena. E probabilmente realizzata in ambito familiare è la scelta migliore. Ci viene detto che un’educazione affettiva, morale, sarebbe inutile. Che questa si svolge fin dall’infanzia, che essa è alimentata e coltivata nelle scuole, colpite nell’orgoglio, che ci viene consigliata dagli antichi, le uniche guide in cui possiamo avere fiducia. Ma per quanto possa amare gli autori e le immortali opere che leggo ogni giorno, ne riconosco anche il limite. Gli antichi non vivono nella nostra era. Non conoscono la nostra società attuale e industrializzata. Si dovette combattere per secoli prima di sradicare l’ipse dixit aristotelico. Si dovrebbe dunque ristabilire? Dovremmo affidarci soltanto alle voci dei nostri avi, rimanendo perennemente isteriliti? E poniamo pure, e in molti casi è verità, che gli antichi ci consiglino giustamente sul da farsi. Uomini predisposti potrebbero comprenderne il messaggio, ma non tutti posseggono la stessa sensibilità alla bellezza della cultura. E quello che per me potrebbe sembrare estremamente attuale ed interessante, per altri sarebbe solo una fatica inutile che non si vede l’ora di abbandonare e dimenticare subito dopo l’interrogazione. Un cambiamento di vedute, alla nostra età, sarebbe quasi impossibile. Ci sarebbe bisogno d’una vera e propria conversione. Ma se dessimo a tutti fin dall’infanzia la possibilità di apprendere quelle leggi morali e sociali che non si apprendono nelle scuole, quelle regole del NO che oggi abbiamo così dimenticato, ci ritroveremmo a vivere in un mondo decisamente più civile. Quello che si deve insegnare ad accettare è un no generale, universale, che vada dall’insistente richiesta di giocattoli nei bambini, fino al no d’una giovane donna nell’adolescenza. Ignorare l’esistenza di quanto riportato in questo testo, fa di noi complici. A nulla servono i minuti di silenzio o di rumore. Giulia è morta. È stata uccisa da un giovane ragazzo in cui riponeva fiducia. Niente e nessuno la riporterà in vita. C’è bisogno d’una azione congiunta. C’è bisogno che gli uomini, le donne, che tutti facciano sentire la loro voce. Dopo l’omicidio, le chiamate ai centri antiviolenza sono raddoppiate dalle 200 giornaliere a 400. Quelle 200 ragazze in più, forse, se Giulia non fosse morta per loro, avrebbero fatto la sua stessa fine. Giulia è morta. È morta per tutti noi. È morta per indicarci la via da seguire. Come disse Alda Merini, quasi profetica, <<il canto di Giulia io canto>>. Ed è il canto di Giulia quello che oggi tutti noi dovremmo imparare ad intonare.

Laboratorio di scrittura Liceo Classico
a.s. 2023/2024