La nascita di Israele
È il 14 maggio 1948 quando in una cerimonia nel museo di Tel Aviv viene reso pubblico un documento, redatto dai maggiori esponenti del movimento sionista. A presiedere il comitato è il polacco di origine ebraica David Ben Gurion, già capo dell’Organizzazione Sionista Mondiale e dell’Agenzia Ebraica, massimo sostenitore del sionismo e dell’autodeterminazione ebraica. La dichiarazione d’Indipendenza dello Stato d’Israele annuncia così la fine della grande diaspora. Dopo il trauma della persecuzione e del genocidio perpetrati nei secoli, di cui l’operato Nazionalsocialista fu l’ultimo degli esecutori, la Giudea viene infine consegnata nelle mani del popolo che da millenni la reclamava. Ad apporre la prima firma è Ben Gurion, che di lì a poco giurerà come primo ministro. A questo evento epocale fa seguito da una parte l’immediato riconoscimento da parte dell’Assemblea delle Nazioni Unite, dall’altra l’aspra reazione della comunità palestinese, guidata dal Supremo Comitato Arabo che rifiuta con categorica fermezza il piano di spartizione della Palestina proposto dall’ONU, ed in suo soccorso interviene così la Lega Araba: Transgiordania, Egitto, Siria, Yemen, Iraq, Libano e Arabia Saudita muovono le proprie truppe sul confine israeliano. È così che l’inizio del conflitto Israelo-Palestinese trova origine nella nascita stessa dello stato ebraico.
Israele contro il mondo arabo
La Guerra Arabo-Israeliana del 1948 termina, si conclude nel giro di un anno, con la vittoria di Israele che, sopravvissuto alla minaccia degli stati limitrofi è ora in grado di affermare la propria autorità politica, oltre che militare. I confini stabiliti prevedono l’occupazione israeliana di gran parte della Palestina, con l’eccezione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, rispettivamente amministrate da Transgiordania ed Egitto. Tale scontro, tuttavia, è soltanto il prima di un’interminabile serie. Nel 1956, la Crisi di Suez sconvolge lo scenario internazionale; l’Egitto, diplomaticamente avvicinatosi all’Unione Sovietica, nazionalizza il canale di Suez a danno di Francia e Gran Bretagna, che vantano forti interessi commerciali e strategici. Israele coglie dunque l’occasione per intervenire e ottiene importanti successi bellici. Il 5 giugno 1967 Israele conduce una fulminea operazione militare, con la quale invade la Cisgiordania, Gaza, la penisola del Sinai e le Alture del Golan. A seguito dell’evento, ricordato come “Guerra dei sei giorni”, Israele raggiunge l’apice dell’espansione territoriale. Gli scontri con gli stati arabi proseguiranno poi con la guerra del Kippur (1973) e varie altre guerre contro il Libano a partire dal 1978 fino ad arrivare agli anni 2000.
La Prima Intifada e gli accordi di Oslo
Dopo l’occupazione nel 1967 di Gaza e della Cisgiordania, maggiormente popolate per lo più da arabi, ha inizio nei primi anni ‘70 una lotta interna tra la fazione ebraica e quella palestinese, la quale agisce spesso con attentati di matrice terroristica. Ad emergere come punto di riferimento del movimento indipendentista palestinese è l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), dichiarato illegittimo dal governo israeliano. La tensione tra il governo e gli oppositori raggiunge il culmine nel 1987, quando una serie di scioperi, proteste, rivolte e attacchi alle forze dell’ordine porta ad una sollevazione di massa, ricordata come Prima Intifada. È durante questa che il 15 novembre 1988, ad Algeri, viene formalmente proclamata la nascita dello Stato di Palestina, successivamente riconosciuto da diversi paesi appartenenti alle Nazioni Unite. L’Intifada genera gravi perdite civili e forte instabilità fino al 1993, quando il governo israeliano e l’OLP, guidati rispettivamente da Yitzhak Rabin e da Yasser Arafat, giungono ad una tregua e alla sigla degli accordi di Oslo. Questi prevedono, da parte dell’OLP, la legittimazione dello stato ebraico; da parte di Israele, il riconoscimento dell’OLP come autorità rappresentante del popolo palestinese.
La Seconda Intifada
Gli accordi di Oslo, divenuti il simbolo di un percorso volto a restituire alla Terra Santa e ai popoli che la contendono pace e stabilità, tuttavia, rivelano in poco tempo la loro inefficacia. Infatti gli anni di tregua tra lo stato di Israele e l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese), il massimo organo di rappresentanza palestinese istituito a seguito degli accordi, non sono che il preludio di una nuova sanguinosa guerra. Il 28 settembre 2000, a seguito di una visita condotta dal politico israeliano Ariel Sharon, futuro primo ministro, nella città di Gerusalemme, ha luogo una sollevazione popolare palestinese, repressa con la forza dall’esercito israeliano. La risposta dell’ANP è immediata, e ben presto la Palestina torna a essere il teatro di nuovi attentati e rivolte armate: ha così ha inizio la Seconda Intifada. Gli scontri si protraggono per circa sei anni, durante i quali l’intera regione viene tormentata e devastata fino ad una lenta distensione della guerra dovuta alla morte di Arafat e al grave peggioramento dello stato di salute di Sharon.
La Guerra civile palestinese
Il 25 gennaio 2006, dopo lunghi rinvii, si tengono per la prima volta elezioni politiche nello stato palestinese. Nonostante la comunità internazionale, compreso Israele, confidasse nella vittoria di Al Fath, partito guidato da Mahmud Abbas, presidente dell’ANP ed esponente dell’ala moderata, i lunghi anni di guerra e di profondo malcontento portano le frange politiche più estremiste a guadagnare ampio consenso tra la popolazione. Vince così Hamas, partito fortemente nazionalista e di matrice antisemita guidato da Ismail Haniyeh, che riceve dunque l’incarico di formare un nuovo governo. Al Fath, che ha tuttavia ottenuto un rilevante numero di voti nella regione della Cisgiordania, contesta il nuovo esecutivo, e reclama nuove elezioni. La manovra, ritenuta illegittima da Hamas, provoca lo scontro militare tra le due forze politiche e l’inizio, nel dicembre 2006, della Guerra civile palestinese. Dopo circa un anno di lotte, si giunge infine a una fase di stallo: sebbene entrambe le organizzazioni rivendichino la legittima autorità dei loro rispettivi governi nello Stato di Palestina, questo rimane tutt’oggi spartito tra Al Fath, che amministra la Cisgiordania, e Hamas, che controlla invece la Striscia di Gaza.
È proprio quest’ultimo, nell’ottobre 2023, a riaccendere lo scontro militare con una serie di attacchi terrestri e missilistici tra Ebrei e Palestinesi, e a provocare così l’invasione israeliana di Gaza.
Guerra Israele-Hamas e condizioni umanitarie
Dal 7 ottobre 2023, le truppe di Hamas e di Israele sono impegnate in durissimi scontri. Dopo l’iniziale avanzata delle forze palestinesi in territorio ebraico, lo stato di Israele, guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, è ora al comando di una vasta controffensiva, che mira all’occupazione di Gaza e al totale smembramento di Hamas. I dati Unicef fino a ora raccolti testimoniano le gravi condizioni in cui versa la popolazione: solo a Gaza più di 3 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari o si trovano in stato di pericolo; tra questi, 1 milione sono bambini. Numerosi ostaggi civili, detenuti sia da Israele che da Hamas, sono in attesa di essere rilasciati in funzione dei futuri accordi di negoziazione.
Laboratorio di scrittura Liceo Classico
a.s. 2023/2024
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