Ricerca

100 Callas, Una voce umana

100 Callas, Una voce umana

Utente RIIS00900X-psc

da Riis00900x-psc

0

“Non sono una poetessa, non sono famosa, permettetemi soltanto di scrivere il mio nome”. Era quello che scriveva, all’età di soli tredici anni sul libro degli autografi della sua scuola a Manhattan, la giovane Maria Anna Cecilia Sofia Kalogheropoulòs, il 28 Gennaio 1937. Quindici anni dopo, tutto il mondo l’avrebbe acclamata come Maria Meneghini Callas. Oggi, la idolatriamo come “la Divina”. 100 anni fa, il 2 Dicembre del 1923, nasceva la cantante che con la sua voce cerulea, rugginosa, ma potente e graffiante, avrebbe rivoluzionato l’arte del bel canto, con una maestria interpretativa che fu paragonata dall’immenso direttore d’orchestra Arturo Toscanini a quella di voci ormai scomparse come Rosa Ponselle o Giuditta Pasta. Una voce sovrumana, che tutt’ora gli esperti cercano di classificare in una delle tre grandi categorie dell’operistica femminile (soprano lirico, drammatico o leggero), senza però giungere ad un punto d’incontro. Una grandiosità, un successo mondiale, che la Callas riuscì ad ottenere incanalando nei suoi ruoli tutte le emozioni e sensazioni di una vita piena di successi, ma anche estremamente infelice e solitaria. Fu amata ed odiata spassionatamente, senza mezze misure, proprio come accade con le divinità. Giunta in Italia nel 1947 dopo aver preso lezioni di canto dalla cantante greca Elvira de Hidalgo e il direttore Tullio Serafin, sposò l’imprenditore Giovan Battista Meneghini, di cui era follemente innamorata. Era giovane, ingenua sovrappeso, parlava un italiano sgrammaticato, goffo, antiletterale, era priva di garbo e di qualsiasi stile. In un paese che non conosceva, vide in Meneghini, o in “Titta” come lo chiamava, la sola persona capace d’amarla. E si abbandonò perdutamente a lui. Dopo aver perso circa trenta chili in pochissimi mesi, nel Gennaio del 1950, interpretò la Norma di Bellini al Teatro La Fenice di Venezia, il ruolo da lei prediletto. << Mi piacciono tutti i ruoli che ho interpretato – scrive nelle sue memorie – Ma con Norma è diverso. Lei è come me sotto molti aspetti. Norma può sembrare molto forte, ma in realtà è un agnello che ruggisce come un leone […] Le mie lacrime in Norma erano vere>>. Fu un successo senza tempo. Giunsero richieste dai teatri più rinomati, prima l’opera di Roma, poi il Teatro Grande di Brescia, il San Carlo di Napoli, e infine la Scala. Oramai era lontana dall’essere quella giovane donna grassottella che indossava scadenti maglioncini di lana. Da quel momento, il resto è storia: le collaborazioni con Luchino Visconti e Franco Zeffirelli (storica rimase la Traviata del 1958); i botteghini che davano il tutto esaurito in meno di un’ora quando il nome “Maria Meneghini Callas” appariva sui manifesti; la folla che s’accalcava alle porte dell’Opera per poterla vedere solo un’istante; le lacrime che rigavano il volto degli spettatori quando intonava la Casta Diva; la sua rivalità con il soprano Renata Tebaldi che fece tenere gli occhi dei lettori incollati sulle pagine dei rotocalchi dell’epoca e la grande amicizia con l’attrice Grace Kelly. Arrivarono poi i contratti internazionali. Prima il Metropolitan di Chicago, poi il Teatro d’Epidauro ad Atene; il concerto a Parigi nel ’58 e la grande Opera di Vienna. Nessuna mai nel campo dell’opera raggiunse una tale fama, e nonostante questo, mantenne sempre una grande umiltà, intrattenendo frequentissimi scambi epistolari con i suoi ammiratori. <<Cantare, per me, non è un atto di orgoglio – diceva – ma solo un tentativo di elevazione verso quei cieli dove tutto è armonia>>. Ma alla fine, anche lei fu costretta a pagare il caro prezzo del successo. Iniziarono a circolare le malelingue sul suo egocentrismo, sul suo carattere insopportabile e capriccioso, aggravati dai vari percorsi giudiziari che fu costretta a portare avanti con il MET di Chicago prima (dopo la Madama Butterfly del ’55), con il violento marito poi, da cui avrebbe divorziato nel 1965, con la madre isterica e possessiva e infine con l’Opera di Roma, dopo lo scandalo della Norma del ’58, quando, per un malessere, fu in grado di interpretarne solo il primo atto. Fu licenziata da Roma, dalla Scala, dalla maggior parte dei teatri italiani con cui era sotto contratto. Ma in tutto ciò, l’unica sua salvezza, fu la relazione con il miliardario Aristotele Onassis. Una relazione, ancora oggi, considerata una delle più romantiche e turbolente storie d’amore del XX secolo. Un amore che avvolse la Callas totalmente, proprio come la sua Medea. E proprio come la barbara della Colchide, anche lei fu sedotta e abbandonata dall’uomo che avrebbe dovuto sposare, e rimpiazzata da Jackie Kennedy, la vedova di JFK. Fu un colpo dal quale non riuscì più a riprendersi. Nel 1965, alla Royal Opera House di Londra, interpretò la Tosca. Fu il suo ultimo ruolo e la sua ultima volta su un palcoscenico d’opera. Da quel giorno, le sue apparizioni iniziarono a diradarsi sempre più. L’insuccesso del film Medea e l’amore impossibile per Pasolini la costrinsero a lasciare l’Italia e a trasferirsi a Parigi. Ma il destino, e la sua voce, la posero davanti ad un’ultimo successo. Spronata dall’amico e tenore Giuseppe di Stefano, fu convinta a partecipare col cantante ad una tournée in giro per il mondo. L’aria “O mio babbino caro” dal Gianni Schicchi di Puccini, cantata tra le ovazioni di migliaia di spettatori giapponesi, fu il suo canto del cigno. Era il 1974. Il 16 Settembre del 1977, mentre la casa discografica EMI stava cercando di riportarla sulle scene con La Traviata di Verdi, morì nella solitudine della sua casa. Al suo capezzale, solo Bruna e Ferruccio, i suoi fedeli domestici che, dall’arrivo in Italia, non l’avevano mai abbandonata. <<Pareva fragile, mancava qualcosa: il suo spirito credo. Non riuscivo più a sentire il suono degli applausi. Faceva spesso un sogno. Desolato. Carico di disperazione. L’ha definito un cattivo auspicio. Ce lo disse con calma, con fare misurato, e sembrava così serena>>. Eppure noi continuiamo a sentire il suono di quegli applausi, l’emozione della sua voce. La morte per lei fu purificazione. Riuscì a liberarsi dal mondo con animo nobile, nonostante tutto quello che fu costretta a sopportare. Aleggia come Casta Diva tra di noi. Maria Callas è in ogni suono, in ogni melodia, in ogni nota. Chiunque vorrà intraprendere l’arduo percorso del canto lirico, dovrà vedersela con lei. Hoffmann diceva sempre che dove cessa la lingua, comincia la musica. Ad oggi, noi potremmo aggiungere che, dove cessa la musica, comincia la Callas.

Thomas Fabrizi, 3A
a.s. 2023/2024

 

Torna al “Saggistica”

Torna al “Blog”

Circolari, notizie, eventi correlati